domenica 13 novembre 2011

"LE GARE DELLE CARRETTE" - di Giuseppe Mocci



Fino agli anni '50 del secolo scorso, i riolesi, in occasione delle feste campestri di Santa Caterina di Pittinuri e di San Giovanni di Sinis, usavano svolgere delle gare di corsa con le carrette.
A queste feste i riolesi hanno sempre partecipato numerosi. In maggioranza erano agricoltori, che, all’epoca, possedevano tutti una carretta. Con questo mezzo essi, raggruppati in comitive diverse, carichi di provviste, raggiungevano le due località, con grande allegria e divertimento.

Santa Caterina di Pittinuri

Questa località dista circa quindici chilometri da Riola e si trova sul mare.
Oggi Santa Caterina è una frazione di Cuglieri. In età medievale, tra l’800 e il 1000 doveva essere una piccola villa, vicina alla città di Cornus.
A causa delle incursioni e saccheggi degli arabi, gli abitanti di questa villa, come quelli della città di Cornus, si trasferirono a Gurulis nova, Cuglieri.
Pare che il primo nucleo della chiesa sia stata costruita tra il V e il VI secolo d.C.; forse doveva essere un oratorio. In quel periodo in Sardegna le piccole chiese campestri erano numerosissime e alcune vennero poi ingrandite, tra il X e il XIV secolo, con forme architettoniche di valore: le belle chiese romaniche.
Nel Comune di Cuglieri ci sono, ancora oggi, altre due chiese campestri: San Lorenzo e Santa Imbenia
Oggi la chiesa dedicata a Santa Caterina di Alessandria viene aperta di sovente, data la grande dimensione raggiunta dal centro abitato, diventato luogo di villeggiatura estiva.
Tanti anni fa, invece, questa chiesa veniva aperta al culto solo un mese prima della festa (la seconda domenica di Maggio) per le novene, alle quali partecipavano numerosi i Cuglieritani, a seguire gli Scanesi, gli abitanti della Planargia e i Riolesi.
Non possedendo automobili, allora, i praticanti le novene  (i cuglieritani soprattutto) si trasferivano sul posto in case di proprietà, costruite per soggiornavi sia durante le vacanze estive, sia durante i periodi in cui venivano effettuati i lavori invernali sui numerosi tancati.
La maggioranza dei riolesi si recava a Santa Caterina il giorno della festa e parcheggiava le carrette nella piazza sottostante la chiesa.

Chiesa di Santa Caterina di Pittinuri
Santa Caterina - 1930 circa - collezione Bullegas Cagliari - viaggio in sardegna Alinari

Come di consuetudine, le donne andavano tutte in chiesa per la messa solenne, mentre gli uomini si scambiavano le visite, di carretta in carretta, con abbondanti libagioni.
A pranzo si formavano gruppi composti da numerose persone, distinti per paese di provenienza, e si mangiava tutt’insieme, all’aperto, formando un’unica grande mensa.
Di pomeriggio i componenti le varie comunità organizzavano balli e negli intervalli, come in una sorta di gara, offrivano il loro vino migliore.  Dalla comunità riolese veniva offerta la vernaccia, che risultava sempre vincente.
Per i riolesi, la festa era anche l’occasione per la contrattazione della legna con i cuglieritani, notoriamente proprietari di estesi tancati ricchi di cespugliati; la famosa macchia mediterranea, dalla quale si ricavava la legna da ardere.
Alla fine della festa, un’ora prima del tramonto, i riolesi organizzavano il ritorno in paese in due gruppi di carrette: uno era composto, in maggioranza, da donne e bambini, l’altro solo da uomini.
Quest’ultimo gruppo si misurava in una spericolata gara di velocità con le carrette, da Santa Caterina alla salita di Pischinappiu. Vinceva la gara chi transitava per primo sulla predetta salita, pericolosissima per la presenza di curve e controcurve.
Quasi tutti gli anni a Pischinappiu, sull’antico tracciato, qualche carretta finiva fuori strada e il carrettiere o qualche accompagnatore finiva anche all’Ospedale di Oristano, ma sempre senza gravi conseguenze.
Ricordo che nel 1946 vinse la gara Giacinto Carrus, un giovane aitante e spericolato, con un cavallo straordinario. La gara fu avvincente: nel tratto più pericoloso della strada, Carrus, lanciato nella corsa, superò un concorrente mandandolo fuori strada. Per fortuna senza che costui subisse danno alcuno, poiché fu scaraventato sopra un macchione di lentischio che attutì la caduta, mentre gli altri accompagnatori erano riusciti a saltare dal carro giusto in tempo.

San Giovanni di Sinis

Foto d'epoca: Case a San Giovanni di Sinis 

A San Giovanni di Sinis i riolesi andavano in villeggiatura nel mese di Agosto, una settimana prima della festa dedicata a San Giovanni (29 Agosto). Alcuni si trattenevano fino alla prima domenica di Settembre per partecipare anche alla festa di San Salvatore, località vicina, a pochi chilometri di distanza.
I riolesi non erano molti, perché la maggioranza usava villeggiare a Su Pallosu. Essi si univano ai nurachesi, che invece erano tanti.
Con i nurachesi, come è notorio, i riolesi hanno sempre avuto un ottimo rapporto (contrariamente a quanto accadeva, stranamente, con i baratilesi). Con loro, infatti, si festeggiava e si gareggiava con le carrette il giorno del rientro dalla festa.
A proposito della storia dei due paesi e dei loro rapporti, pare che Riola (Arriora) sia sorta dopo Nurachi, che già molto prima del 1000 era una Villa (Bidda) civilmente organizzata e con chiesa parrocchiale: San Giovanni Battista, allora una piccola cappella in stile gotico (VI secolo d.C).
Si dice anche che Riola era costituita, allora, da tre piccoli insediamenti, sparsi nelle campagne vicine a Nurachi, intorno alle piccole chiese campestri (oratori) di Santa Corona e di Sant’Anna, e che in queste piccole chiese officiasse il parroco di Nurachi.
A cavallo tra gli anni venti e trenta del secolo scorso, alcuni nurachesi costruirono a San Giovanni di Sinis le loro seconde case, proprio di fronte e a fianco della chiesa paleocristiana  (chiesa che, allora, ricadeva nella giurisdizione ecclesiastica di Nurachi).
Essi, molto più devoti dei riolesi e dei cabraresi, perciò costruirono quelle abitazioni che ancora oggi si trovano di fronte alla predetta chiesa.
A conferma degli ottimi rapporti con i vicini nurachesi, sta il fatto che anche un riolese costruì la sua seconda casa proprio in mezzo alla fila dov’erano esclusivamente le loro abitazioni: era il Cavalier Giuseppe Zoncu.
La maggioranza dei villeggianti - riolesi e nurachesi - che arrivava a San Giovanni con carri e carrette, si accampava lungo la strada, attaccandosi alle prime case, disposti a schiera.

Foto d'epoca: Nurachesi in festa a San Giovanni
Chiesa paleocristiana di San Giovanni di Sinis

L’accampamento, per coloro che vi dovevano trascorrere almeno una settimana, era formato da capanne realizzate con pali e canne e rivestite di frasche; per quelli che vi si erano recati solo per uno due giorni (vigilia e festa), l’accampamento, invece, era costituito dai carri e carrette con le stanghe al cielo che venivano coperte da tende e lenzuola per proteggersi dal sole di giorno e dall’umidità di notte.
Gli inquilini delle capanne costruivano, con identico materiale, un gabinetto, posto sul retro delle stesse, ove veniva sistemato anche il pollaio, preziosa riserva di carne (allora non esisteva il frigorifero).
I villeggianti delle case e delle capanne, in perfetta armonia, trascorrevano la settimana nel seguente modo: la mattina al mare a prendere il sole e a fare i bagni (le donne facevano il bagno con lunghe camicie bianche o nere e in una spiaggia diversa, a loro riservata, sorvegliata anche da un ragazzino), mentre di pomeriggio, dopo la pennichella, a ballare, cantare e bere.
Di sera, invece, le donne, i vecchi e i bambini andavano in chiesa, mentre gli uomini continuavano la festa con canti e libagioni varie, in compagnia anche degli amici venuti solo per il giorno della festa.
Al termine della giornata di festa, i villeggianti con le carrette organizzavano la gara di velocità, gara che iniziava un’ora prima del tramonto, con partenza da San Giovanni e arrivo al primo ponte della Peschiera Pontis.
La competizione era veramente interessante e pericolosa, perché non si svolgeva lungo una strada, come quella di Santa Caterina, ma lungo vari sentieri dissestati che portavano quasi tutti a Cabras, salvo alcuni che invece portavano negli stagni vicini o, addirittura, al mare.
Spesso arrivava al traguardo, in tempo utile, solo la metà dei concorrenti, perché l’altra metà si era persa nei vari sentieri.
Nel 1939 vinse la gara il riolese Gabriele Marini, un ventenne ardimentoso alla guida di un puledro appena domato.
Naturalmente alla fine della gara, in presenza di tanta gente giunta ormai sul posto, si procedeva ad applaudire il vincitore e alla solita libagione. Veniva offerto vino e amaretti a tutti, compresi i passanti occasionali.
Solo i cabraresi rimanevano indifferenti ed è notoria anche la loro avversità alla festa organizzata dai Nurachesi.

Testo di Giuseppe Mocci 

Alcune foto d'epoca sono tratte dal bel libro di Pasqualino Manconi "Nurachi e la sua storia. Appunti di viaggio nella memoria".




Chiesa di San Giovanni di Sinis: la “guerra” tra i Cabraresi e Nurachesi; note storiche


Al riguardo si cita un brano del Dizionario Storico di Vittorio Angius, in favore dei nurachesi:
"… Egli è forse stato che il territorio di Nurachi avesse limiti più estesi che al presente… e rispetto a quella (chiesa) di San Giovanni di Sinis è assai probabile che gli abitanti di quel paese siansi ritirati a Nurachi, che era il luogo più sicuro nelle repentine invasioni dei barbari, perché il Parroco ebbe diritto su quella chiesa che era stata dei novelli suoi parrocchiani, e il Comune (di Nurachi) la proprietà sul territorio dei loro ospiti, che fu poi usurpato o legittimamente acquistato dal Comune di Cabras”. 
Si cita, ora, in favore dei cabraresi, un particolare molto importante; cioè l’intervento di restauro da parte dei cabraresi nel 1838, senza l’autorizzazione del parroco di Nurachi. Infatti la chiesa, antichissima e rimasta per tanto tempo senza manutenzione, andò in rovina; per un decennio essa era diventata un ricovero di pastori e animali vari. 
Dopo l’intervento di restauro, i Cabraresi ottennero dal Vescovo il permesso di benedirla e di festeggiare San Giovanni, con esclusione del parroco di Nurachi; il parroco di Cabras ritirò le nuove chiavi della chiesa restaurata e contenente la statua del Santo. 
Subito dopo ebbe seguito una controversia legale presso la Curia vescovile di Oristano e altre ne seguirono fino al 1948. 
La prima risale al 1840, il cui esito fu favorevole al Parroco di Nurachi che rientrò in possesso della chiesa, nella quale poterono celebrare la festa in onore dei santi Agostino e Giovanni Battista. 
Anche l’Angius, parlando di Nurachi, afferma che “la parrocchiale di Nurachi ha giurisdizione per antichi titoli,… sopra la chiesa di San Giovanni di Sinis”. 
Al riguardo, sempre sulla controversia con Cabras, il nurachese Pasqualino Manconi, nei suoi appunti di viaggio, racconta: 
“A questo punto s’inserisce un episodio rimasto sempre vivo nel ricordo del popolo di Nurachi. In un anno non precisato ma lontano nel tempo, i Nurachesi, di ritorno dal Sinis dopo la celebrazione delle consuete feste, furono sorpresi da un temporale nell’attraversare Cabras… Nella confusione generale il simulacro di San Giovanni Battista fu introdotto nella chiesa di Cabras, mentre quello di Sant’Agostino fu messo al riparo in una casa privata. Cessato il predetto temporale, il simulacro di San Giovanni non fu restituito ai Nurachesi ed i Cabraresi con quel gesto si guadagnarono la non felice nomea di “Crabarissu fura santus”. 
La guerra, se così possiamo chiamarla, tra le due comunità, continuò fino al 1948. Ma già nel 1939 vigeva un accordo, con il benestare della Curia, che prevedeva il festeggiamento di Sant’Agostino e di San Giovanni da parte delle due Comunità e nello stesso giorno. 
Infatti, quell’anno, i nurachesi arrivarono in processione da Nurachi con Sant’Agostino, mentre i cabraresi arrivarono con San Giovanni. 
Il punto d’arrivo e da dove poi partirono in processione fino alla chiesa, si trovava all’ingresso del villaggio in un punto determinato sul terreno da un grosso roccione. Da qui, dietro a ogni santo, partirono in processione i fedeli; i Cabraresi dietro il simulacro di San Giovanni, alla destra, invece i Nurachesi dietro il simulacro di Sant’Agostino, a sinistra. 

Testo a cura di G. Mocci

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